1439 - GALEE PER I MONTI
Testo di Giorgio Carminati, tutti i diritti riservati
La città resisteva ai tentativi di assalto grazie alla tenacia
del governatore Francesco Barbaro e alle truppe di Detesalvo Lupi e Cristoforo
Donato.
Non riuscendo il Piccinino a prender la città con le armi, decide di prenderla per fame estendendo il controllo al territorio circostante, dalla pianura fino a Peschiera, al Garda e al Mincio, respingendo i tentativi di rifornimento alla città del Gattamelata, comandante dell’esercito veneziano.
Le truppe veneziane si trovarono cosi impossibilitate a rifornire Brescia che rischiava di restare completamente isolata. Spunta così l’idea di portare una flotta nel Garda, non attraverso il Mincio risalendo il Po (in quanto il prima era sotto il controllo del Piccinino), ma dall’Adige portando le navi per i monti.
Se veniamo ora all’esecuzione effettiva dell’impresa vediamo che tra febbraio e marzo del 1439 un totale di sei galee, venticinque barche, tutte le rispettive attrezzature ed equipaggiamenti per la navigazione e il loro armamento furono portate dall’Adige via terra passando i monti e da lì verso la foce del Sarca dove era stato allestito per l’occasione un piccolo castello per il loro riparo.
Servirono un totale di duemila buoi, 120 coppie di buoi
per ogni galea, furono coinvolti moltissimi guastatori e marinai oltre a un
nutrito numero di ingegneri, tutti coinvolti nell’attrezzare il percorso con
funi, carrucole e argani. Il Cornazzano dice che su ordine del Colleoni furono
montate le ruote agli scafi delle imbarcazioni, mentre il Sanudo afferma che un
greco di nome Niccolò Caravilla fece inalberare gli scafi (con buona logica le
galee erano quantomeno parzialmente disallestite e alleggerite per facilitarne
il trasporto) e con l’uso delle vele aiutò lo sforzo nel movimentarle.
Le operazioni costarono più di quindicimila ducati escluso il costo dei gustatori, dei buoi e dei carri e si protrassero per 15 giorni ininterrottamente giorno e notte.
Il fatto che in molti abbiamo voluto legare il proprio nome a un’impresa del genere è più che intuibile anche se alla fine questo sforzo fu presto vanificato e non ebbe minimamente il successo sperato; non passò molto tempo infatti che il Piccinino mandasse la propria flotta a contrastare i rifornimenti veneziani che furono costretti a far tornare le imbarcazioni verso Torbole, all’interno di quel fortilizio alla foce del Sarca e da lì non poterono più rifornire i bresciani.
L’impresa diede solo un po’ di respiro alle truppe assediate a Brescia, Detesalvo lupi ebbe infatti l’occasione di aumentare la portata e l’efficacia delle proprie sortite fuori dalle mura, ma non rallentò di molto le conquiste del Piccinino che continuò a spingersi a est aggiungendo alle città già assediate di Bergamo e Brescia anche quella di Verona (dove il Colleoni prese il comando delle difese) e poi fino alle chiuse di Padova dove era acquartierato il Gattamelata.
Questa impresa è notoriamente attribuita al Colleoni, sia
perché così ci dice il Cornazzano suo biografo e poi ripreso dallo Spino, lo
stile stesso dell’impresa cosi azzardata e audace non può che portare la sua
firma, inoltre alcuni anni dopo il Colleoni stesso ripropone un piano simile
per soccorrere la repubblica ambrosiana.
Non fosse però che Il Colleoni era al servizio di Venezia
e il capitano Generale era il Gattamelata che stava conducendo in quel momento
le operazioni contro il Piccinino, impossibile quindi che non fosse attribuita
al Gattamelata questa impresa ed è appunto quello che scrive l’Eroli.
Non possono finire qui i nomi degli interessati, altre fonti citano infatti altre 3 o 4 personalità.
I documenti noti portano però a una primissima presentazione di questa idea in Senato già nel dicembre del 1438 da parte di Blasio de Arboribus e da Niccolò Sorbolo, quest’ultimo era ufficiale del genio navale veneziano e a lui è riferito anche un altro documento del 1447 quando, nominato ammiraglio, viene ricordato per “conducendo galeas per montes in lacu Gardae”
Volendo tirare le somme il Colleoni può aver realmente
avuto l’idea ma questa era già stata “brevettata” un paio di mesi prima dal
Sorbolo, il Colleoni non poteva comunque agire in autonomia e fu quindi sotto
il comando generale del Gattamelata che si svolse tutta l’operazione, a sua
volta messa in campo e resa possibile delle centinaia di uomini restati ignoti
che ci misero le braccia e le gambe in quei 15 estenuanti giorni.
bibliografia:
Bortolo Belotti la vita di Bartolomeo Colleoni, prima edizione 1923
Cornazzano, Commentari, Lib II
Giovanni Pontano, orazione funebre per il Gattamelata
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