LA CLAMOROSA CONTRADDIZIONE

 Testo di Gabriele Omodeo Vanone, tutti i diritti riservati

Presa di Pisa, dipinta dall’anonimo Maestro di Anghiari a metà del XV secolo e splendida descrizione visiva delle condotte mercenarie. Oggi conservata alla Gallery of Ireland, Dublino. Opera di Pubblico Dominio.

La Compagnia d’Arme del Carro è una associazione culturale dedita alla ricostruzione storica di una compagnia mercenaria. Ma perché proprio una compagnia mercenaria?

Il Trecento italiano è costellato di episodi in cui bande armate al comando di capitani di ventura si prestano al servizio di questa o quella potenza per combatterne le battaglie. Il capitano di ventura è una figura incredibilmente carismatica e potente, in grado di raccogliere intorno a sé uomini armati, risorse e mezzi per vivere indipendentemente sul territorio delle varie potenze italiane.

Intorno al 1380, quando uno dei più famigerati capitani di ventura del periodo, Giovanni Acuto, si trova a combattere in pianta stabile per Firenze, comincia la transizione del modo di condurre la guerra nella penisola.

Gli Stati si accorgono che è molto più conveniente avere rapporti stabili con le milizie assoldate piuttosto che dipendere dagli spostamenti erratici di queste ultime. Questa mentalità porterà nel giro di pochi decenni ad un cambiamento epocale, e cioè alla nascita delle condotte.

Nel Trecento, in Italia si contano numerosi capitani di ventura con le loro compagnie. Queste non alloggiano all’interno delle città, ma vagano per il territorio alla ricerca di contratti e di bottino.

In particolare, senza alcuna autorità in grado di regolamentare le loro attività, le compagnie mercenarie rappresentano al medesimo tempo una risorsa per quegli Stati che fossero alla ricerca di professionisti della guerra da assoldare, ma pure un enorme rischio. Proprio l’indipendenza delle compagnie faceva della guerra l’unico mezzo in grado di evitare che la compagnia si approfittasse con la forza delle risorse di un Comune. Quando una compagnia minacciava di muovere contro il territorio sovrano di uno Stato, questi poteva difendersi in soli due modi: pagare un riscatto monetario per convincere la compagnia a muovere altrove, oppure assoldare una compagnia rivale per difendersi. 

Dopo quasi un secolo di questa medicina, le città italiane si resero conto di quanto dispendioso sia avere sul territorio un’entità incontrollabile di questo genere. Si forma l’idea che sia preferibile regolamentare il mercato della guerra assoldando dapprima milizie locali e permanenti, e dappoi stilando contratti ed istituendo organi di controllo in grado di farli rispettare.

Così, grazie soprattutto all’influenza di due condottieri famosi, e cioè Braccio da Montone e Muzio Attendolo detto Sforza, sul finire del Trecento e al cominciare del Quattrocento si riformano le compagnie di ventura in condotte.

La condotta è il contratto stipulato tra una Signoria e un capitano di ventura, ora detto condottiero, e le sue forze armate. Nella condotta vengono descritte minuziosamente i dettagli della ferma: la durata, la paga, la dimensione delle forze assoldate e il loro equipaggiamento, ma anche le norme di controllo di questi valori e quelle che la compagnia si impegna a rispettare durante e dopo la ferma. La condotta offre alla Signoria uno strumento per impedire alle compagnie di razziare o vagare liberamente sul territorio. Per controllare che la condotta venga rispettata, le Signorie inviano messi ufficiali al seguito delle compagnie mercenarie, e intanto si preparano a non pagare il pattuito qualora la compagnia vada licenziata, ad eliminare fisicamente il condottiero quando questi diventa scomodo e pure ad elargire multe per le violazioni di altro tipo.

Nel Quattrocento, la condotta è la pratica standard, e la compagnia mercenaria diventa ora formata in larghissima parte da persone del territorio e comunque provenienti dalla penisola, in contrasto col secolo precedente, dove le compagnie erano principalmente straniere.

Questa trasformazione inesorabile è accompagnata da una larghissima produzione scritta. I condottieri raccolgono e leggono avidamente i trattati sulla guerra scritti dai grandi del passato, e ne scrivono di nuovi a loro volta.

Descritta così in breve una situazione complessa non le si rende giustizia, ma spero di essere riuscito a gettare un’ulteriore luce su quanto il Quattrocento fosse un’epoca di cambiamento e rivoluzione. Torniamo quindi alla domanda che ha aperto questo articolo: come mai proprio una compagnia mercenaria? Lo storico Philippe afferma che nel Quattrocento “i trattati sull’arte della guerra nei secoli XIV e XV sono più numerosi delle opere didattiche riguardanti la nautica, l’agricoltura, la fabbricazione dei tessuti e persino le tecniche mercantili”. La figura del mercenario è centrale nella società del Quattrocento italiano, e in luce di questa importanza viene studiata e riproposta.

Lo storico Duccio Balestracci, autore di una biografia dell’Acuto, descrive i condottiere come soldati di professione non riconducibili a stereotipi, espressioni nel loro vissuto di una clamorosa contraddizione frutto della miscela di atti violenti ed esempi di onestà e pietas.

Per approfondimento, si consigliano:

Balestracci D. - Le armi, i cavalli e l’oro, Giovanni Acuto e i condottieri nell’Italia del Trecento, Editori Laterza, Roma-Bari 2003

Mallet M - Signori e mercenari, la guerra nell’Italia del Rinascimento, Il Mulino, Bologna 2006

Barelli A. - Balduccio d’Angiari, l’avventura delle armi nel Quattrocento, Minerva Soluzioni Editoriali, Bologna 2020

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